USA: AUMENTANO LE AUTODEMOLIZIONI, MA CALANO LE VENDITE

Colpa della crisi, della green revolution di Obama o dell’aumentato impatto del trasporto pubblico?

Nel film Nuovomondo, di Emanuele Crialese (Leone d’Argento all’edizione 2005 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia; Premio SIGNIS e Segnalazione Cinema for UNICEF; vincitore di 3 David di Donatello), una breve sequenza illustra, con molta ironia, le originali cartoline fantastiche che, all’inizio del secolo, inducevano i poveretti del mondo ad emigrare in America, con la promessa di raccolti prodigiosi e guadagni mirabolanti; il tutto reso attraverso l’utilizzo di semplici fotomontaggi per mezzo dei quali frutta ed ortaggi apparivano grandi quanto i contadini che li coltivavano.

Al di là della critica alle spregiudicate politiche di immigrazione è pur vero che l’America, sin dalla sua scoperta, ha colpito l’immaginario collettivo per la mole dei suoi “grandi numeri” e, successivamente, ha speso bene tale caratteristica giocandosi il piatto del mercato internazionale con la forza di un mercato interno talmente sviluppato da condizionare mode e tendenze a livello planetario. Per cinquant’anni se qualcosa funzionava in America, funzionava in tutto il mondo, per cui, è giocoforza che quando il meccanismo si è inceppato, l’allarme è scattato in tutto il mondo. Crisi o non crisi, i fatti parlano chiaro, per la prima volta dalla Seconda Guerra mondiale, il parco auto USA si è ridotto del 2%. La notizia, desunta dal Notiziario per l’ambiente urbano: Eco dalle Città (www. ecodallecitta.it) è documentata da numeri impressionanti; nel 2009, negli Stati Uniti, sono state demolite 14.000.000 di auto a fronte di un risultato d’acquisto stimato in “soli” 10.000.000 di esemplari. 4 milioni di vetture che pesano molto sulla bilancia del prodotto interno lordo e che tuttavia, dal punto di vista socio- logico e ambientale significano l’inizio di una inversione di tendenza. Il fatto è che tale debacle del mercato automobilistico è imputabile a più fattori: da un lato la perdita del potere d’acquisto da parte delle famiglie americane, l’au- mento del prezzo dei carburanti tradizionali derivati dal petrolio e la saturazione del mercato; dall’altro, la stabilizzazione del fenomeno di inurbazione. Si dà il caso che il Paese dei grandi spazi e delle infinite possibilità sia stato anche, forse per troppo tempo, il Paese della mobilità assoluta, tanto nel lavoro, quanto nei trasporti di uomini e merci, senza contare l’apporto di politiche interne di sostegno indiretto al consumo (carburanti più accessibili e automezzi più grandi e famelici). Al variare di questa dinamica sociale, che vede sempre più le grandi metropoli protagoniste delle attività antropiche, è evidente che l’oppotunità della mobilità si scontra sul muro della fisica: quella del moto dei fluidi in un vaso, per intenderci alla quale alcune teorie urbanistiche si rifanno allorquando si devono analizzare i flussi di traffico veicolare nelle arterie viarie urbane ed extraurbane. In sostanza: troppe auto concentra- te nelle aree urbane significano meno possibilità di spostarsi agevolmente, più traffico, maggior spreco di carburante nelle code con motore acceso… ovvero, passaggio emotivo dal piacere allo stress della guida. Ma nella civiltà dei consumi, si sa, i problemi si affrontano solo quando diventano economicamente rilevanti, ed ecco, allora, che l’ar ticolo succitato riporta quanto calcolato dall’Istituto per i Trasporti del Texas, ovvero che tra spreco di benzina e di tempo, il costo del traffico intasato è balzato dai 17 miliardi di dollari del 1982 a 87 miliardi nel 2007! Il che, in tempi di recessione e coi bilanci in rosso, deve aver dato qualche pensierino in più agli amministratori pubblici d’oltreoceano, divisi tra necessità di rivedere politiche di welfare, garantire servizi efficienti, non intaccare troppo le abitudini dei contribuenti/elettori e, magari, rispondere positivamente alla sterzata ecologista del nuovo Presidente Obama. Fatto sta che molte città, dove il problema della mobilità urbana è parecchio più sentito, hanno deciso, malgrado i tagli intervenuti ai servizi di trasporto pubblico, di implementare e caldeggiare proprio questo tipo di dinamiche. Città come Phoenix, Seattle, Houston, Nashville e la stessa Washington DC stanno riscrivendo la propria politica legata al trasporto pubblico, puntando su ferrovie leggere, nuove linee metro- politane, autobus e tramvie, ma anche piste ciclabili e risistemazione di strade da dedicare ai soli pedoni. Nel contempo sono aumentati i costi relativi ai parcheggi mentre il sistema di colonnine-parcometro a moneta stanno lasciando il campo a più efficienti macchinette che accettano solo car te di credito. Anche per ingegneri civili ed urbanisti c’è in atto una piccola rivoluzione, dal momento che la tendenza, a partire dalla fase di progettazione, è quella di ridurre il numero di stalli richiesti per legge per ogni edificio di nuova costruzione. L’articolo prosegue poi ricordando co- me il ridimensionamento del parco auto derivi anche dal fatto che il grosso delle autovetture acquistate in tempi di vacche grasse (periodo che va dal 1994 al 2007), stanno avviandosi alla chiusura del loro ciclo-vita e, considerando i “chiari di luna” dell’economia nazionale, è molto probabile che molte famiglie rinunceranno ad acquistarne altrettante, riducendo altresì, laddove possibile, il numero di auto per nucleo familiare. Anche i mutamenti sociali inter venuti con il diffondersi della Rete hanno fatto sentire i loro effetti sul numero delle auto vendute. Non è un caso che la socializzazione tra i più giovani, un tempo molto dipendente dalla disponibilità di un’auto, si sia spostata su terreni molto virtuali, vanificando il possesso delle “quattro ruote”. Nel contempo, si è assistito ad un pesante indebitamento per lo studio. Fatto sta che i neopatentati, riporta l’articolo, sono passati dai 12.000.000 del 1978 a meno di 10.000.000 del 2009. E il futuro cosa prevede ai trend attuali? Pare che sia finita la “luna di miele” fra americani ed automobile, un sodalizio che sembra sopravvivere solo nel mito, se è vero che le proiezioni statistiche indicano funestamente un aumento delle autodemolizioni a fronte di un calo progressivo delle vendite, fino al 2020. Il quadro non è dei più rosei: perdita di 1 – 2 punti percentuali all’anno e una perdita di 25.000 di autoveicoli entro dieci anni. Peraltro, nel periodo 2005 – 2008 si è visto aumentare del 9% l’utenza del trasporto pubblico nelle città che hanno adottato politiche di disincentivazione dell’auto privata. Finita dunque l’epoca delle mitiche Corvette e delle giunoniche Cadillac? Forse si sta assistendo ad un cambia- mento di rotta cui la crisi economica ha dato un ulteriore impulso. Dunque, in America ci sono ancora auto da demolire, ma fino a quando?


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