Microchip: la strada europea è ancora tutta in salita

Secondo un audit della Corte dei conti Europea, nonostante i progressi compiuti, gli obiettivi europei sulla produzione di microchip sono ancora distanti.

Ricordiamo tutti come la carenza dei semiconduttori o microchip, quale conseguenza delle misure di contenimento della pandemia da Covid-19 abbia determinato un ritardo nelle consegne di materie prime e semilavorati, provocando tanto a livello europeo, nazionale, una forte sofferenza all’industria e al mercato automobilistico già di per sé gravati dal calo della domanda e quindi ancor di più oppressi da ritardi nella produzione e nella consegna.

Ma l’importanza strategica di questi prodotti della tecnologia è ancora più fondamentale se si considera il loro “peso” nelle catene del valore industriali chiave; non solo l’automotive (che peraltro ne ha sempre più bisogno in ragione della sempre maggior componente elettronica nei veicoli), ma comunicazione, connettività, ai settori aerospaziali e della difesa, con un forte peso nella capacità e opportunità di sviluppo dei singoli Paesi.

Se è vero che in Europa non mancano certo competenze specifiche in questo settore, è altrettanto vero che, con una certa miopia, come già avvenuto in altri ambiti dell’industria manifatturiera, nel tempo si è preferito delocalizzare la produzione all’estero, soprattutto in Asia.

Con la conseguenza che, con il manifestarsi della pandemia e delle sue conseguenze nella società tutta, si è reso tangibile il senso di dipendenza globale della catena del valore dei semiconduttori da parte di pochi produttori.

Con l’obiettivo di superare questa situazione, garantire la sicurezza di produzione e approvvigionamenti, la resilienza dell’Unione e la leadership tecnologica, la Commissione europea ha varato, già nel febbraio 2022, una Proposta di regolamento per l’istituzione di un quadro di misure per rafforzare l’ecosistema europeo dei semiconduttori, in seguito European Chips Act, entrato in vigore a settembre 2023.

Ma qual è lo stato dell’arte?
Se lo è chiesto la Corte dei conti europea che nella sua Relazione speciale 12/2025: La strategia dell’UE in materia di microchip – Vi sono ragionevoli progressi nell’attuazione, ma è molto improbabile che il Chips Act sia sufficiente per conseguire l’eccessivamente ambizioso obiettivo del decennio digitale esplicita, già a partire dal titolo, una situazione con parecchie ombre.

Innanzi tutto, dalla “fotografia” scattata dall’ECA, emerge che, nonostante l’impulso dato, l’obiettivo Ue di conseguire entro il 2030 il 20% del valore della produzione mondiale di microchip all’avanguardia e sostenibili è piuttosto improbabile dall’essere conseguito.

Le stesse previsioni della Commissione, pubblicate a luglio 2024, indicano che, nonostante un significativo aumento atteso della capacità di produzione, la quota complessiva dell’UE nella catena del valore in un mercato mondiale in rapida espansione aumenterebbe solo lievemente, passando dal 9,8 % del 2022 a solo l’11,7% entro il 2030.

A sfavore giocano due fattori: gli Stati membri e il settore privato investono di più nel settore rispetto ai fondi più modesti gestiti dalla Commissione stessa; permangono le sfide rappresentate dall’accesso alle materie prime, dai costi energetici e dalle tensioni geopolitiche.

La Commissione – scrivono dalla Corte dei conti Ue – è responsabile solo del 5% (4,5 miliardi €) degli 86 miliardi € di finanziamenti stimati dal Chips Act fino al 2030. Ci si attende che la restante parte provenga dagli Stati membri e dall’industria.

Giusto per fare un confronto, i principali produttori mondiali hanno previsto investimenti per 405 miliardi € in un solo triennio, dal 2020 al 2023; cifra ben diversa da quella prevista nel Chips Act.

Un problema ulteriore rilevato dalla Corte è quello che “la Commissione non dispone di mandato per coordinare gli investimenti nazionali a livello dell’UE affinché questi siano allineati agli obiettivi del Chips Act. Inoltre, il Chips Act non è abbastanza chiaro in relazione agli obiettivi e al monitoraggio, ed è difficile stabilire se tenga adeguatamente conto degli attuali livelli di domanda di microchip tradizionali del settore”.

Permangono, poi, come già anticipato i nodi legati alla dipendenza dalle importazioni di materie prime, gli elevati costi dell’energia, le istanze ambientali, le tensioni geopolitiche e i controlli sulle esportazioni, nonché una carenza di manodopera qualificata.

Inoltre, va considerato che, in Europa, il settore industriale dei microchip è concentrato nelle mani da poche imprese di grandi dimensioni che si focalizzano su progetti di valore elevato, cosa che contribuisce ad accentrare anche i finanziamenti.
Con la conseguenza che la cancellazione, il ritardo o il fallimento di un singolo progetto può determinare un impatto significativo sull’intero settore.

L’UE ha bisogno di fare urgentemente il punto della situazione in relazione alla propria strategia per il settore dei microchip”, ha affermato Annemie Turtelboom, il Membro della Corte responsabile dell’audit.
Si tratta di un settore in rapida evoluzione, con un’intensa concorrenza geopolitica e, attualmente, l’UE fatica parecchio a tenere il ritmo necessario a realizzare le proprie ambizioni. L’obiettivo del 20 % rappresentava sostanzialmente un’aspirazione. Per conseguirlo l’UE avrebbe dovuto all’incirca quadruplicare la propria capacità di produzione entro il 2030 ma, procedendo al ritmo attuale, si è ben lungi da questo scenario. L’Europa deve essere competitiva, e la Commissione europea dovrebbe rivalutare la propria strategia affinché rispecchi la realtà effettiva”.

                                                Fonte: Corte dei conti europea

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