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LA CONDOTTA PROTRATTA NEL TEMPO FA CADERE L’IPOTESI DI ABBANDONO - Notiziario Autodemolitori

LA CONDOTTA PROTRATTA NEL TEMPO FA CADERE L’IPOTESI DI ABBANDONO

Gestione illecita rifiuti batterie piombo esauste

Il reato di gestione illecita di rifiuti pericolosi, nella fattispecie, batterie al piombo esauste, soprattutto quando aggravato dall’assenza della prescritta autorizzazione, non può essere inquadrato nell’ipotesi dell’abbandono occasionale di rifiuti, in quanto, la gestione dei rifiuti ha natura permanente, tanto più quando questa corrisponde ad una condotta che si protrae nel tempo con una pluralità di fatti commissivi acclarati.
L’assenza di caratteristiche imprenditoriali (ovvero: organizzazione, anche rudimentale, di persone e di cose diretta al funzionamento della medesima) a nulla vale, trattandosi, nella fattispecie, di un reato che può essere commesso da “chiunque”.
A stabilirlo è una Sentenza della Corte di Cassazione, III Sezione Penale, di cui riportiamo il testo integrale, così come desunto dal Sito: www.lexambiente.it

Repubblica Italiana
In nome del Popolo italiano, la
Corte suprema di Cassazione
III Sezione Penale

Composta dagli ill.mi Sigg.ri:

Presidente:    Saverio Mannino,
Consigliere    Ciro Petti,
Consigliere    Alfredo Teresi,
Consigliere    Alfredo Maria Lombardi,
Consigliere    Silvio Amoresano

Ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
Sul ricorso proposto da (Omissis), difensore di fiducia di (Omissis), avverso la sentenza in data 24.3.2009 della Corte di Appello di Napoli, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Carinola, in data 22.11.2007, venne condannato alla pena di sei mesi di arresto ed € 2.500,00 di ammenda, quale colpevole del reato di cui all’art. 51, comma 1 della L. n. 22/1997.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere, Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Piero Gaeta, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza per prescrizione:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di (Omissis) in ordine al reato di cui all’art. N. 51, comma primo, della L. n. 22/1997, a lui ascritto per avere effettuato un’attività di gestione di rifiuti pericolosi, costituiti da batterie al piombo esauste in assenza della prescritta autorizzazione.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva dedotto, tra l’altro, che il fatto poteva essere inquadrato nell’ipotesi dell’abbandono occasionale di rifiuti ai sensi dell’art. 50 L. n. 22/1997 e dedotto la prescrizione del reato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per vizi di motivazione e violazione di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza.
In sintesi, si denuncia la illogicità della motivazione della sentenza per non avere inquadrato il fatto nell’ipotesi di cui all’art. 50 della L. n, 22/1997, dell’abbandono occasionale di rifiuti, che era stata ravvisata dall’amministrazione comunale nel provvedimento con il quale era stato ingiunto all’imputato di rimuovere i rifiuti di cui alla contestazione.
Si deduce, inoltre, che l’attività di gestione di rifiuti richiede un’organizzazione, anche se rudimentale, di persone e di cose diretta al funzionamento della medesima e che la valutazione dei giudici in merito in ordine alla natura dell’attività posta in essere da (Omissis) è esclusivamente fondata sulle dichiarazioni del fratello dell’imputato, che lo aveva denunciato e con il quale non corrono buoni rapporti.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione dell’art. 129 c.p.p. in relazione alla mancata declaratoria di prescrizione del reato.
Si deduce che il reato di cui alla contestazione è istantaneo ad effetti permanenti e che la commissione dello stesso doveva farsi risalire a circa due anni prima dell’accertamento.
Il ricorso è manifestatamente infondato.
La sentenza impugnata ha correttamente osservato che l’attività di gestione di rifiuti ha natura permanente quando corrisponde ad una condotta che si protrae nel tempo con una pluralità di fatti commissivi (cfr. Sez. III, 19.12.2007 n. 6098 del 2008, Sarra e altro, RV 238828; Sez. III, 21.10.2010 n. 40850, Gramigna e altro, RV 248706); fatti che secondo l’accertamento in merito si sono protratti fino alla data del sopralluogo effettuato dal M.llo dei C.C. in data 8.6.2005.
La doglianza relativa alla mancata declaratoria di prescrizione del reato è, pertanto, fondata esclusivamente su una deduzione fattuale, peraltro generica, in contrasto con l’accertamento di merito e, perciò, inammissibile in sede di legittimità.
Quanto all’attività di gestione di rifiuti da parte di (omissis) la stessa ha formato oggetto di puntuale accertamento mediante la descrizione della condotta posta in essere dall’imputato, che consisteva nel recuperare il contenuto delle batterie che poi abbandonava sul terreno intorno all’abitazione.
Detta attività rientra univocamente nell’ipotesi tipica della gestione dei rifiuti pericolosi (recupero e successivo smaltimento tramite abbandono), mentre a nulla rileva la assenza di caratteristiche imprenditoriali dell’attività, trattandosi di reato che può essere commesso da “chiunque”.
Infine, non può formare oggetto di contestazione in sede di legittimità l’attendibilità del teste sulla cui deposizione l’accertamento è fondato e che, peraltro, trovava riscontro in quanto riferito dal verbalizzante.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606, ultimo comma, c.p.p. con le conseguenze di legge, tra cui la preclusione per questa Corte della possibilità di rilevare l’esistenza di cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento della somma di € 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza del 27.10.2011

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