Regolamento ELV, produttori e riciclatori di veicoli Ue esprimono perplessità.

Sotto la lente di ACEA, CLEPA ed EuRIC la proposta sui nuovi obblighi in materia di smontaggio di parti e componenti dai veicoli fuori uso prima della demolizione.

È un unisono calibrato in termini di perplessità e preoccupazione quello diffuso da ACEA, l’Associazione che riunisce i maggiori produttori di autoveicoli europei, CLEPA – Associazione europea dei fornitori automobilistici ed EuRIC – Confederazione europea delle industrie del riciclo e che tocca il nervo scoperto del redigendo Regolamento ELV.

Produttori e riciclatori di veicoli, infatti, in una dichiarazione congiunta (disponibile in inglese qui) hanno espresso preoccupazione circa i requisiti di demolizione dei veicoli fuori uso che, a loro dire, sarebbero controproducenti in mancanza di adeguate condizioni. 

L’Ue, propone, infatti, di ampliare gli obblighi di demolizione previsti nel regolamento sui veicoli fuori uso introducendo nuovi obblighi in materia di rimozione di parti e componenti dai veicoli fuori uso prima della demolizione.

L’obiettivo sarebbe quello di:
– migliorare il riutilizzo, il ricondizionamento e la ri-fabbricazione;
– affrontare impellenti ragioni di sicurezza (ad esempio per batterie da trazione o da avviamento);
– raggiungere standard più elevati di riciclo che non potevano essere raggiunti prima a livello equivalente di estrazione e separazione dei materiali con tecniche post-triturazione (come nel caso dei convertitori catalitici). 

Tuttavia, se l’obiettivo è condivisibile, secondo i tre soggetti, sono le modalità proposte dai decisori di Bruxelles, stante il quadro generale, a sollevare dubbi.

In primo luogo, secondo ACEA, CLEPA ed EuRIC manca un mercato a valle per la componentistica da riutilizzare; una assenza che renderebbe vano il lavoro di ulteriori separazioni specifiche dal veicolo fuori uso.

Per diversi componenti menzionati nell’allegato VII, parte C, secondo i tre soggetti, lo smantellamento non è la soluzione più efficiente per raggiungere uno qualsiasi degli obiettivi sopra menzionati e in più l’indicazione del riutilizzo di tutte le parti ELV elencate vincolerebbe anche gli impianti di trattamento autorizzati a separare parti o componenti che non sono propriamente adatte al riutilizzo o al ricondizionamento, o parti per le quali non c’è richiesta specifica e che, quindi verrebbero distrutte. 

In questo caso, scrivono le tre associazioni si avrebbero solo più elevati costi per le imprese che smantellano i veicoli fuori uso in termini di lavoro, trasporto, stoccaggio con tutto ciò che ne deriva sotto l’aspetto dell’impronta di carbonio senza alcun beneficio ambientale. 

Ad esempio, nel caso dei cruscotti con dispaly e pannelli di controllo la rimozione al fine di un riutilizzo – ricondizionamento – recupero per ri-fabbricazione non è così conveniente stante la bassa richiesta di questi pezzi di ricambio e la durata della vita media di un’auto, senza contare l’ampia varietà di sottocomponenti e materiali che andrebbe a creare un “mix selvaggio” che “non contribuirebbe a migliorare la qualità dei materiali riciclati”, anzi: “Sarebbero comunque necessarie anche tecnologie di smantellamento, triturazione e post-triturazione”. 

Anche lo smontaggio di numerosi componenti, come cablaggi elettrici o schede elettroniche della grandezza superiore a superiore a 10 cm² (allegato VII, parte C), non è giustificato secondo i tre soggetti.

In questo caso, spiegano, il contenuto di metalli preziosi dipende dalla funzione e dal numero di componenti presenti sul circuito stampato e non dalla misura, inoltre vi sono difficoltà nello smontare interi cablaggi nei veicoli con motori a combustione dal momento che questi sono incorporati nel veicolo sin dal processo di fabbricazione.

Senza contare che il loro riutilizzo sarebbe frenato dalla univocità che lega cablaggio a veicolo-modello. Anche in questo caso, quindi, affermano produttori e riciclatori europei: “l’estrazione dei materiali rilevanti sarebbe possibile solo con adeguate tecnologie avanzate di post-frantumazione”. 

È questa, dunque la soluzione proposta da tre soggetti per conseguire una separazione efficace del materiale, tuttavia a condizione che sia disponibile una sufficiente capacità tecnologica all’avanguardia, magari ottimizzata attraverso la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale in grado di garantire la qualità dei materiali riciclati.

Per questo, secondo produttori e riciclatori europei, il nuovo Regolamento ELV dovrebbe favorire la diffusione diffusa di sistemi avanzati di post-triturazione e tecnologie di riciclaggio e, allo stesso tempo la proposta di espansione degli obblighi di smantellamento sarebbe in contrasto con l’innovazione tecnologica e con processi che utilizzano diverse tecnologie avanzate (separazione della densità, cernita tramite spettroscopia/ottica, separazione gravimetrica, selezione basata sull’intelligenza artificiale, ecc.) per recuperare con estrema qualità i diversi materiali negli impianti di post-trattamento.

Senza adeguate certezze in questo senso, affermano, gli investimenti compiuti in tecnologie dall’industria del riciclo potrebbero andare perduti e vanificati.

Infine, l’ultimo nodo rimarcato da produttori e riciclatori europei riguarda la considerazione circa la mancanza, in Europa, di forza lavoro disponibile per svolgere manualmente la separazione di parti e componenti.

Pertanto, concludono, gli obblighi di rimozione dei componenti dovrebbero essere sempre tecnicamente fattibili, economicamente sostenibili, proporzionali e in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo; dovrebbe essere definito e promosso un uso specifico di questi componenti e un requisito per lo smantellamento manuale obbligatorio specificato dovrebbe sussistere solo se gli obiettivi desiderati non possono essere raggiunti altrimenti.

Sempre considerando che, in linea di principio, la migliore tecnologia disponibile dovrebbe essere utilizzata per ogni processo di riciclaggio.

Foto di Holger Schué da Pixabay

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