Trasporto pubblico locale bocciato dall’Antitrust

Servizio scadente e assenza di concorrenza rendono il TPL italiano tra i più arretrati di Europa.

bus

Parco rotabile obsoleto e notevoli divari territoriali, per i quali gli utenti di alcune Regioni, soprattutto centro-meridionali, hanno accesso a meno servizi e di qualità peggiore, senza peraltro pagare prezzi inferiori.
Sono questi i gravi squilibri strutturali emersi dall’indagine dell’AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sul trasporto pubblico locale.

Il paradosso è che in Italia la domanda di servizi di TPL rimane insoddisfatta nonostante l’offerta complessiva dei servizi di TPL sia in media sovradimensionata.
In pratica il servizio è eccessivo dove non ce n’è bisogno.

Questo la dice lunga sulle gravi carenze nella programmazione da parte delle Regioni e degli Enti locali e nelle politiche atte a sviluppare la mobilità sostenibile.
Rispetto ai Paesi europei le dimensioni delle aziende italiane, anche di quelle più importanti, sono assai ridotte, mentre i grandi operatori europei, spesso di proprietà pubblica, sono organizzati con una struttura a holding che controlla e/o è associata ad un vasto numero di piccoli operatori locali e realizzano, anche in virtù della loro notevole capacità finanziaria, una parte importante del loro fatturato al di fuori dei confini nazionali (inclusa l’Italia).

Lo strutturale squilibrio tra domanda e offerta, il minore coefficiente di carico (load factor), i maggiori costi operativi, la minore produttività e i minori ricavi da traffico sono i fattori che concorrono a rendere il nostro TPL obsoleto e poco efficiente.

Obsoleto anche dal punto di vista dell’anzianita del parco rotabile che registra una media di circa 11,6 anni (quasi 5 anni in più della media europea).
Il parco autobus ha una consistenza di circa 50.000 unità e ben il 28% è rappresentato da autobus certificati Euro 1 ed Euro 2 (per classe di emissioni); tra l’altro circola ancora il 5% di autobus appartenenti alla classe Euro 0.
Solo l’1% degli autobus è classificato Euro 6; gli autobus ad alimentazione elettrica sono ugualmente solo l’1% del parco mezzi.

L’Osservatorio nazionale sul TPL stima che solo per mantenere invariata l’età media attuale servirebbe un rinnovo del parco autobus di almeno 2.100 unità l’anno con un costo di circa 420 milioni di euro l’anno, mentre per adeguare l’età media a quella europea, in 10 anni, servirebbero 4.100 unità l’anno (per un costo di circa 820 milioni di euro l’anno).

Non stupisce, inoltre, il fatto che gran parte delle aziende di TPL sia in perdita, infatti in media i costi di manutenzione di un autobus vecchio (es. di 15 anni) sono 6 volte più alti di quelli di un autobus nuovo.
Quasi il 70% delle perdite del settore, considerando le società a partecipazione pubblica, riguarda la Regione Lazio.

I servizi di TPL sono ancora, in prevalenza, gestiti in base a contratti in esclusiva affidati direttamente a imprese partecipate dagli enti locali o, nel caso del ferro, a Trenitalia.
Sono state fatte poche gare, spesso male, nonostante la presenza di un quadro normativo nazionale che ormai dal 1997 – quando addirittura si rese obbligatoria la gara, per lo meno sulla carta – ha sempre auspicato modalità competitive di affidamento del servizio.

Tale situazione ha determinato performance non sempre soddisfacenti sia sotto il profilo della qualità dei servizi che del loro costo per la collettività.
Anche molti Paesi europei beneficiano di affidamenti diretti in luogo delle gare, ma in Italia il TPL è progressivamente peggiorato originando debiti colossali e buchi di bilancio impressionanti.

Secondo l’indagine dell’AGCM, a prescindere dalla proprietà, pubblica o privata, delle imprese, la presenza di meccanismi messi in moto dalle gare stimolerebbe le aziende a comportarsi in modo virtuoso e l’apertura alla concorrenza del settore potrebbe contribuirebbe in modo rilevante a risolvere i problemi sulla spesa pubblica garantendo anche un più ampio godimento del diritto alla mobilità.

La ricetta dell’Antitrust per favorire un assetto più concorrenziale del settore, attraverso un rapido intervento normativo che dovrebbe dare vita a una riforma concreta dei servizi pubblici locali da discutere in Parlamento o in altro modo, si articola in 4 linee di intervento:

1. Serve un “salto di qualità” nella fase di programmazione dei servizi, sia nel riorganizzare il riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali, sia nel merito della programmazione, che dovrebbe essere svolta almeno a livello regionale se non sovraregionale e non più in base all’offerta storica, inadeguata, ma tenendo conto delle reali esigenze degli utenti; in altri termini, a partire da linee guida dello Stato centrale (per correggere le sperequazioni), le amministrazioni devono chiedersi qual è il modo migliore (treno, autobus, servizi non di linea, servizi a chiamata, servizi commerciali, da affiancare eventualmente a sgravi fiscali o rimborsi per le categorie più svantaggiate) per soddisfare la domanda, in modo da gravare il meno possibile sulla spesa pubblica, garantendo però un accesso effettivo all’uso del mezzo pubblico.

2. Occorre favorire il ricorso alle gare con meccanismi volti a responsabilizzare le amministrazioni, premiando quelle più virtuose al momento del riparto dei fondi pubblici e aumentando la trasparenza del loro operato.

3. Le gare devono essere ben fatte e garantire un’ampia partecipazione (ad esempio, è utile creare società indipendenti che acquistino i treni per noleggiarli agli operatori e ricorrere a strumenti appropriati per affrontare i risvolti occupazionali). Si deve intervenire, inoltre, sul nodo dei conflitti di interesse, distaccando le funzioni di stazione appaltante dalla dimensione locale e attribuendole a un unico organo a livello dello Stato centrale.

4. Va sviluppata la concorrenza “nel” mercato, poco diffusa anche perché ritenuta – erroneamente – una modalità che non consente di perseguire obiettivi sociali. L’indagine dimostra, invece, che la quasi totale assenza di concorrenza ha determinato pesanti pressioni sulla spesa pubblica, senza garantire maggiore equità e migliori condizioni di vita alla cittadinanza.


Condividi con:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *