IL TRAFFICO ILLEGALE DI RIFIUTI “INVESTE” ANCHE L’AUTO

Rottamazione: quando il business delle componenti auto diventa illegale

È alta quasi come l’Etna la montagna di rifiuti industriali gestiti illegalmente nel 2006, una catena montuosa di 3.100 metri di altezza, con una base di 3 ettari, un peso di 103,7 milioni di tonnellate, sparita nel nulla e materializzatasi in un giro d’affari di oltre 7 miliardi di euro! Una sorta di buco nero, più che una montagna, in grado di inghiottire rifiuti speciali trafficati illegalmente, la cui voragine, stando al Rapporto Ecomafia 2009 di Legambiente è destinata a crescere ogni anno di più. Basti pensare che nel 2007 il business del ciclo illegale dei rifiuti speciali aveva fagocitato 4 miliardi e mezzo, diventati 7 miliardi nel 2008. E non solo. Il business, oltre a crescere, si allarga a macchia d’olio. Crescono infatti anche i Paesi coinvolti nei traffici internazionali di rifiuti che passano da 10 a 13 (5 nazioni europee, 5 asiatiche e 3 africane).

Le rotte di destinazione sono sempre Paesi poveri o in forte crescita, alla di- sperata ricerca di materie prime. Il dumping ambientale diventa così una pratica sempre più diffusa per smaltire i rifiuti illegalmente e quindi a costi bassi, sfruttando le carenze legislative e di controllo dei Paesi in questione. È questo il core business del mercato illegale della rottamazione delle auto. Tra le pratiche illegali più gettonate in materia di rifiuti speciali, perché più facili da attuare, c’è proprio lo smercio dei componenti esterni e meccanici dei veicoli destinati alla rottamazione. I pezzi ricavati dalla demolizione delle auto (ferro, pneumatici, parti meccaniche) costituiscono, infatti, ai sensi della legge, rifiuti a tutti gli effetti di cui l’autodemolitore è tenuto a disfarsi portandoli a regolare smaltimento presso le ditte autorizzate. Spesso invece non è così e il rifiuto speciale viene “riciclato” dall’autodemolitore come pezzo di ricambio da commerciare con i Paesi dove il mercato dell’usato è pressoché assente (per l’assenza di industrie) e meno regolamentato (per via dei minori controlli sulle emissioni). Il trucco è sempre lo stesso: nei registri di carico dei container si dichiara di trasportare materie prime secondarie, anziché veri e propri rifiuti. Parti di automobili non bonificate e non riutilizzabili come radiatori, pneumatici, pezzi di ricambio, accumulatori al piombo esauriti e motori transitano così “sotto mentite spoglie”, ovvero illegalmente, da un capo all’altro del mondo. Il trucco, difficile da scovare, se si pensa alla quantità di container che transitano nei nostri porti è anche molto più remunerativo della pratica legale: il guadagno per il rottamatore è infatti maggiore di quello ricavabile dal prezzo del ferro che dovrebbe essere smaltito. E non solo. Il trucco è anche facile da attuare. Il confine tra il “pezzo di ricambio” e il “rifiuto”, nel caso dei componenti ester- ni e meccanici dei veicoli, ricavati dalla demolizione, è infatti labile e sottile. Ai sensi del D. Lgs. 209/2003, attuativo di una direttiva CE, tali componenti vanno esenti dall’applicazione della normativa sui rifiuti – e dunque possono essere commercializzati- solo qualora siano sottoposti preventivamente a “messa in sicurezza/bonifica”, ovvero ad un trattamento che ne escluda l’effetto inquinante. Solo alcuni pezzi, come gli specchietti retrovisori, posso- no essere venduti senza trattamento, in quanto non sono stati a contatto con sostanze inquinanti. Se poi si considera che, stando al D. Lgs. 209, alcuni pezzi attinenti alla sicurezza (come il gruppo sterzo e il cambio) possono essere venduti, sem- pre previa bonifica, solo a soggetti autorizzati (altrimenti devono essere sottoposti alla normativa sui rifiuti), l’illegalità della vendita in blocco di tutte le componenti di auto rottamate è lampante. Così come è lampante l’illegalità del traffico internazionale di rifiuti derivanti da attività di autodemolizioni, sgomi- nato dal nucleo Operativo Ecologico di Roma, con l’operazione Corno D’Africa. Roma-Etiopia era la rotta del traffico illegale che aveva anche diramazioni anche in Siria e in Inghilterra. La punibilità a titolo di delitto di prati- che del genere fa riferimento all’articolo 260 del Testo Unico Ambientale (D. Lgs. 152/2006) che ripropone l’art. 53/ bis del D. Lgs. 22/1997 e che sanziona le “Attività illecite per il traffico organizzato di rifiuti”. È stata invece la Corte di Cassazione a stabilire le linee interpretative della norma e a tracciare il confine tra il “delitto” e la “contravvenzione” individuando alcune condizioni caratteristiche del “delitto ambientale”: – presenza di un’organizzazione professionale, dedita in modo continuativo alla gestione, intermediazione, spedizione, traffico di rifiuti, come mezzi appositi dedicati anche a questo scopo: per esempio, macchinari, ma anche contatti stabili con intermediari; – la quantità ingente di rifiuti; – il vantaggio economico, che può derivare anche da risparmino dei costi di smaltimento e produzione; – l'”abusività”: le attività di gestione devono essere “abusive”, vale a dire in difetto di autorizzazioni, iscirizioni o comunicazioni previste dalla legge (Cass. Sez III 1446/05 Samarati), o comunque tali, per le modalità con- crete in cui si esplicano “totalmente difformi da quanto autorizzato, si da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa” (Cass.Sez .III 40828/06 Fradella). Fortunatamente non tutto il comparto dell’autodemolizione è dedito a queste pratiche illecite, tuttavia giova ricordare che i comportamenti deviati di pochi danneggiano non solo l’ambiente, ma gettano il discredito su tutta la categoria dei professionisti dell’autodemolizione.


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